«Non cercare di diventare un uomo di successo, ma piuttosto un uomo di valore.» A. Einstein

martedì 8 marzo 2011

Dedicato alle donne che non possono festeggiare

Dal magazine sui diritti umani Segnali di Fumo riprendo e vi propongo una seria riflessione nel giorno dedicato alle donne. Un modo per ricordare chi non ha diritto nemmeno a pensare ad un festeggiamento.

Nel mondo occidentale, diciamo per gran parte benestante, lasciamo scivolare via la festa con vuoto autocompiacimento e superficialità, con stanchezza e fastidio o nel migliore dei casi con ironia e amara consapevolezza.

Ma nell’altra parte del mondo (nei rimanenti tre quarti del pianeta) ci sono questioni ben più gravi a cui pensare: sarebbe segno di grande rispetto e consapevolezza tenere a mente che le donne del mondo (moltissime, fuori dalla nostra visuale) non hanno diritto, e quindi accesso, agli strumenti base della sopravvivenza, dell’educazione e della libertà. Non hanno accesso alla terra, che significa sostentamento, denaro e indipendenza economica, non hanno accesso al credito che consente libertà di iniziativa, crescita e riscatto, non hanno accesso all’eredità che si traduce, prima che in risorsa economica, nel riconoscimento tangibile del proprio ruolo e della propria dignità nell’ambito della struttura familiare.
La violenza fa spesso parte della loro esistenza quotidiana come il lavoro, la cura della casa o la crescita dei figli, una condizione ineluttabile o comunque accettabile che il mondo intorno ignora, tollera, giustifica.

Le donne del mondo lavorano duramente, come forse nessun altro, per garantire la sopravvivenza a se stesse e ai figli, eppure la loro immensa fatica non viene riconosciuta, né tantomeno premiata: portano il peso, reale non solo figurato, di una struttura sociale che non le colloca, non le ascolta, non le vede. Non leggono e non scrivono: si tratta dell’esclusione completa e forzata dalle più elementari forme di conoscenza, consapevolezza e partecipazione. Sono tenute distanti dai servizi essenziali, lontane dalla giustizia, dalla sanità, dalla sicurezza, relegate in insediamenti abitativi a dir poco precari, sottoposte a condizioni sanitarie proibitive, vittime di situazioni di guerra o guerriglia logoranti, senza voce, senza diritti, senza riconoscimenti.

Le donne che non festeggiano sono il 70% degli affamati del mondo, il 60% della forza lavoro, il 65% degli analfabeti, lo zoccolo duro del lavoro “informale” e sottopagato, in definitiva una enorme forza invisibile, sfruttata, giuridicamente non riconosciuta, umanamente umiliata nella quotidiana negazione dei diritti elementari che sarebbero di qualunque persona e di qualunque “genere”.
Queste donne chiedono un viso e una voce, attendono una vita più sicura e più degna, che consenta loro, una volta per tutte, di scegliere una vita senza più subire un destino.

In un’ epoca in cui la pretesa sa di arroganza e protervia, in un’era in cui si urla senza aver nulla da dire e si attacca senza aver nulla da difendere, è forse il caso di spegnere le luci di una festa del “genere” e, senza arroganza e senza protervia, ma con lucida, consapevole, legittima convinzione pretendere un nuovo “genere” di dignità.

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