Secondo uno studio recente del Boston Consulting Group “Made in America, again: why manufacturing will return to the US” molte aziende USA potrebbero scegliere di lasciare la Cina e tornare a produrre ricambi automobilistici, componenti meccanici, elettronici e informatici in casa. Ciò si deve al fatto che il costo del lavoro nella seconda economia mondiale sta crescendo costantemente ad un tasso del 15/20% annuo e il differenziale di costi di produzione tra USA e CINA, un tempo abissale, potrebbe ridursi “solo” ad un 40% entro il 2015, vanificando di fatto i benefici della delocalizzazione. Rimarrebbero esclusi, per ora, da questo “controesodo” i prodotti tessili e l’abbigliamento.
Tale rinnovata competitività americana frutto in parte anche della crisi che di fatto ha ridotto e a volte annullato la crescita del costo del lavoro e incrementato di conseguenza la produttività USA potrebbe generare tra i due e i tre milioni di nuovi posti di lavoro (compreso l’indotto) e un aumento del PIL fino a 100 miliardi di dollari.
Questo scenario non dovrebbe comunque mettere in difficoltà Pechino, in quanto il sostegno alla crescita dell’economia cinese si sposta dall’esportazione di prodotti ai consumi e alla domanda interna.
In questo scenario di riequilibrio degli assetti globali è necessario che si rafforzino le altre tre importanti aree del pianeta, Europa/Russia, Africa e sud America. Il futuro non solo economico del nostro Mondo è meglio garantito con blocchi politici ed economici stabili. Non solo da due voci “soliste”. Anche di questo dovremmo ragionare, non solo di spread, debito e scaramucce europee…
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